L’Italia è tra i Paesi europei con la maggiore biodiversità agricola, vegetale ed animale. Non solo, siamo la culla dell’enogastronomia e della Dieta mediterranea, che dal 2010 è anche Patrimonio Unesco.
Una Dieta – che io intendo come stile di vita più che come regime di restrizione calorica – tanto parlata quanto poco praticata. A dimostrarlo ci sono i tassi di obesità, più alti nelle regioni – Campania in primis – dove il cibo mediterraneo è di casa.
Uno stile di vita in-sostenibile dal punto di vista della salute umana e dell’ambiente, gravato dal fardello dello spreco che soffoca tutti i passaggi dalla terra alla tavola e che trova il terreno più fertile tra le mura domestiche, causando una perdita stimata tra gli 8 e i 12 miliardi di euro, l’1% del Pil nazionale.
Questa è una prova di quanto noi italiani siamo mal-educati dal punto di vista alimentare. Parlando di formazione, ci manca qualcosa, siamo in deficit di coscienza e conoscenza.
Allora torno a ripetere quanto sia importante puntare sull’educazione alimentare e ambientale soprattutto tra le nuove generazioni.
Per noi diversamente giovani nel programma scolastico c’era l’economia domestica, ma dal 1973 la materia è stata eradicata dai piani di studi e – poco alla volta – anche dalle menti delle persone.
La gestione delle dispensa, la conservazione degli alimenti, l’organizzazione della cucina sono cose elementari, che ci siamo dimenticati.
Non è però troppo tardi per rispolverare queste nozioni. Nel mondo tedesco gli danno già molta importanza: ci sono delle scuole professionali interamente dedicate all’economia domestica e all’accoglienza.
La mia proposta è quindi quella di creare un maggiore legame tra la terra – e le scuole che insegnano a coltivarla, gli istituti agrari della rete nazionale Renisia – e la tavola – e le scuole che insegnano ad imbandirla, gli istituti alberghieri della rete Renaia.
Con questo modulo sperimentare potremo instillare nella generazione Z una nuova coscienza del valore del cibo.