Il suolo (e il cibo) che scompare

Il 17 luglio ho fatto da moderatore alla presentazione del Rapporto SNPA 2018 sul consumo di suolo in Italia. I dati presentati mi hanno messo in allarme, non lo nego.
Il consumo di suolo in Italia è in crescita. Nel 2017 ci sono state nuove coperture artificiali per 54 chilometri quadrati, circa 15 ettari al giorno, che equivalgono grossomodo a due aziende agricole medie italiane. In pratica soffochiamo il cibo (e non solo) con il cemento. In Europa non va tanto meglio: nel periodo 1990-2006, l’occupazione ha superato i 1000 km quadrati all’anno, che corrispondono a un’area superiore a quella di Berlino (fonte report Commissione Europea, 2013). Ancora, a livello globale, i dati FAO. Secondo le previsioni i terreni arabili disponibili in tutto il mondo caleranno da 0,45 ettari pro capite nel 1961 a 0,2 ettari nel 2020. Entro il 2050, la quota pro capite scenderà a 0,1 ettari.
È una contraddizione evidente: proprio nel momento in cui avremmo più bisogno di terreno fertile per nutrire un mondo sempre più popolato, aumentiamo l’asfalto e il cemento e, così facendo, penalizziamo l’agricoltura. Secondo la FAO la produzione agricola dovrebbe aumentare del 60% entro il 2050 se vogliamo alimentare la popolazione, tanto più che l’80% delle popolazioni più povere vive in aree rurali.
In Italia le aree più colpite sono nel Settentrione, quel Nord che fa da motrice all’economia italiana. Questa è la prova che funziona ancora il binomio crescita/consumo di risorse, valido per il consumo di suolo così come per i rifiuti: se cresce il PIL, crescono anche la spazzatura e l’espansione edilizia. La ripresa economica è ancora pensata nei termini di una forza “distruttiva”, mentre si dovrebbe puntare a un disaccoppiamento di questi due termini. Intendo dire (anzi ripetere) che serve un cambio di moto, dal lineare al circolare.
Per convincersi della necessità di invertire la rotta, basterebbe visualizzare il costo del consumo di suolo: in termini di stock di capitale naturale perso è circa 1 miliardo, mentre quasi 2 miliardi se ne vanno in “servizi” ecosistemici che il terreno non è più in grado di dare. Lo stesso rapporto del Sistema Nazionale di Prevenzione Ambientale (SNPA) cita i “costi nascosti” del consumo di suolo, facendo riferimento alla ricerca della Commissione Europea 2013. Nel testo Ue i costi elencati sono pressione sulle risorse idriche, minaccia alla biodiversità, minaccia alla sicurezza alimentare, minaccia al ciclo del carbonio e clima…Tutte condizioni che si ritrovano, in analogia, anche per quanto riguarda lo spreco alimentare: dietro ogni piatto di cibo buttato, c’è un’impronta ambientale molto forte.

Il punto è che, una volta costruito, poi è difficile tornare indietro. C’è un grande squilibrio nell’atto di consumare il suolo: per gettare una colata di cemento ci si impiega qualche minuto, mentre il terreno per rigenerarsi impiega moltissimo tempo. Bisogna rifletterci molto bene. Il passaggio fondamentale è capire che anche il suolo, il paesaggio, è una risorsa naturale limitata e, al pari dell’acqua e dell’aria, va tutelata.

 

Autore dell'articolo: Segreteria