Il cibo del futuro è smart

Oggi ho partecipato al Web marketing festival di Rimini. Mi è piaciuto ragionare insieme sul digitale come via maestra per un’agricoltura e un cibo sostenibile. Sembra un ossimoro questa agricoltura digitale, con quel richiamo ai numeri, all’informatica, agli smartphone, al mondo virtuale. Invece il digitus, quel dito, quella mano, riporta alla manualità e alla materialità che ancora caratterizza il cibo.

Ma il cibo del futuro passa per l’innovazione digitale che ci aiuterà, ma già lo sta facendo, a produrre usando al meglio (e meno) le risorse naturali limitate. Si parla tanto di smart anche per l’agricoltura e per il cibo. Ma i primi smart dobbiamo essere noi tutti, consumatori o fruitori, come mi piace definirmi: fruitore di cibo, non consumatore che vuol dire distruttore. “Fruire un bene è assai diverso dal consumarlo, portandolo a termine (altro significato di consumare). Fruire significa godere, soprattutto nel senso di avere, giovarsi di qualcosa o averne la disponibilità. Perfetto per il cibo – peraltro si accosta al latino fructus, frutto – perché la fruizione si lega alla disponibilità e anche, in definitiva, a un diritto: fruire vuol dire infatti trarre giovamento da qualcosa avendone diritto. Il diritto al cibo, come ho cercato di spiegare altrove, «buono e giusto», deve essere non solo riconosciuto, come è di fatto nella Carta dei diritti umani, ma anche garantito. Il cibo deve soddisfare un bisogno fondamentale dell’uomo, non un desiderio. Alimentarsi bene, dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo, deve essere un diritto garantito. Da chi? Questo riconoscimento deve partire da noi fruitori. E non più consumatori. Inserire tale diritto nelle Costituzioni non ha senso se prima non avviene un simile cambiamento culturale e anche verbale.
Piuttosto siamo noi fruitori – almeno nei Paesi dove il cibo c’è – che quando andiamo a fare la spesa votiamo con il portafoglio, nel senso che acquistiamo con consapevolezza e responsabilità i beni che ci servono” (pag 94, Il gusto per le cose giuste. Lettera alla generazione Z, Mondadori, 2017).

Cosa significa? Intelligenza di produzione e sostenibilità della filiera agroalimentare, dai campi al nostro piatto: cibo prodotto nel rispetto dell’ambiente e dei cittadini, cibo “medio” e “democratico” per chi lo produce come per chi lo acquista.

La giustizia del cibo significa rispetto per l’ambiente, ovvero per le risorse naturali che servono a produrre gli alimenti – appunto il suolo, l’acqua, l’energia – e rispetto per il lavoro dell’uomo, che con la sua sapienza combina le risorse e porta l’oro nel nostro piatto. Ma anche rispetto per noi tutti, che fruiremo di quel cibo. Ecco che ci viene in aiuto l’agricoltura 4.0, ovvero l’utilizzo armonico e interconnesso delle tecnologie finalizzate a migliorare la resa e la sostenibilità delle coltivazioni, la qualità produttiva e di trasformazione, le condizioni di lavoro.

Autore dell'articolo: Segreteria